Si � chiuso nel pi� inaspettato dei modi il triangolo FBI-Apple-iPhone del terrorista del
San Bernardino. Una vicenda finita tra i tribunali americani, che ha
visto i servizi segreti richiedere pubblicamente ad Apple di forzare
l�accesso all�iPhone 5C dell�attentatore per continuare nelle indagini.
Davanti ad un giudice � stata quindi sollevata la vicenda legata a
privacy e sicurezza: un lasciapassare ai nostri dati sensibili salvati
sullo smartphone (attualmente criptati end-to-end sia su iOS sia su
Android) sarebbe risuonato come ammettere di avere all'interno dei
propri prodotti una backdoor sfruttabile da malintenzionati e, in ottica
commerciale, un clamoroso autogol per il marketing. Infine, dopo il caso Nsa
di qualche anno fa, i rapporti tra Europa e Stati Uniti d'America
sull'argomento intercettazioni sono ancora incrinati, per certi versi
insanabili.
Ritornando alla vicenda, Apple ha dichiarato di
non poter accedere ai dati dell�iPhone 5C oggetto in discussione. Per
tale motivo, l'FBI non sembrava voler fare marcia indietro in attesa di
una decisione del giudice, il tutto fino alla settimana scorsa, momento
in cui la seduta in tribunale � stata sospesa dall'FBI stesso senza
troppo preavviso. Il motivo? Lo scopriamo oggi. La vicenda ha cambiato
faccia, l'iPhone � stato hackerato senza l�aiuto di Apple e a dare una
mano ai servizi segreti americani sembra esserci stato lo zampino di un�azienda israeliana dal nome Cellebrite specializzata in hacking.
Per tutta risposta, Tim Cook e i suoi hanno rilasciato un pallido e generico comunicato stampa. Analizzato nel polverone mediatico venuto fuori, risulta essere lontano dai fatti e per certi versi fuori tema. Eccolo:
Vuoi sempre essere aggiornato su L'FBI � entrato nell'iPhone di San Bernardino senza Apple?
ISCRIVITI alla nostra newsletter